Shadu |
Scendo la valle seguendo il pendio della
montagna, la strada è continuamente interrotta da frane,cantonieri e rompi
pietre al lavoro per liberarla da terra e massi.
L’incontro con queste persone
è sempre piacevole, un sorriso accompagnato da una stretta di mano, spesso con
la richiesta di una foto…
ci salutiamo con “namaste”. Lungo il cammino non
incontro pellegrini a piedi (preferiscono il bus) trovo molti SADHU:
induisti asceti che
dedicano la propria vita all'abbandono, alla rinuncia della società,staccandosi
dal mondo e interrompendo ogni legame con la famiglia.
Non possiedono nulla o
poche cose vestono con tuniche color zafferano,giallo o bianche a secondo della
loro appartenenza , portano lunghi capelli e barba,indossano vistose collane e
l’immancabile pentolino per ricevere offerte o cibo. Passano la loro vita
spostandosi sulle strade
dell’India nutrendosi con i doni dei devoti nella loro ricerca dell’assoluto.
Praticano riti magici, recitano il manta,controllano il respiro, meditano e
praticano lo yoga unificando il corpo all’anima.
Molti di questi fanno uso di
hashis , sono considerati dei santi , quando muoiono non vengono cremati ma
sepolti essendo per la società persone
già morte e rincarnate, sono considerati e rispettati dalla gente. Si
sottopongono a mortificazioni estreme nella certezza di raggiungere
l’illuminismo più in fretta : come lunghi digiuni,non sedersi o sdraiarsi per anni,
smettere di parlare o tenere un braccio alzato fino all’atrofizzazione
completa. Ci sono diverse sette, più o meno estreme alcuni
si rotolano o si cospargono di cenere dei morti simbolo di morte e rinascita. Non tutti i SADHU sono considerati
sant’uomini molti non appartengono a nessuno ordine , sono figure dubbie che
gettono ombre su queste pratiche antiche. Sono mendicanti che si improvvisano
SADHU per godere dell’immunità totale, le benevolenze, l’elemosina, la libertà
di movimento e il rispetto della società indiana a queste figure uniche al
mondo.Attraverso foreste di alti pini, la corteccia squamata è incisa da profondi tagli a pettine , all’estremità dei contenitori per la raccolta di resina , il sottobosco è reso sterile dal manto di aghi secchi caduti. Arrivo a Uttarkashi nella tarda mattinata con Luigi ci rechiamo all’ufficio forestale e turistico per la richiesta del permesso all’entrata al Gangotri National park (GAUNUK) nel piccolo ufficio quattro impiegati con quattro computer , la richiesta viene scritta a mano con molta calma e tranquillità tipico degli indiani. Questi ricopiano i dati su un registro, il tutto viene trasmesso all’altro impiegato che ricopia e ricontrolla per passarlo sulla scrivania del funzionario capo il quale ci chiama informandoci delle difficoltà lungo il cammino, provocata dai disastri dello scorso anno, per cui ci obbliga a proseguire con una guida locale (questo è scritto anche sul permesso). Con il permesso in tasca riprendo il cammino seguendo il fiume Bhagirathi che dà il nome alla valle, la strada è in terra battuta ,
quella
vecchia asfaltata è più a valle coperta
dalla frana, è tutto un cantiere con mezzi meccanici vecchi e lenti in cambio
c’e molta manodopera anche donne e bambini. La valle è ampia, lungo le ripide
pareti della montagna villaggi sparsi , cascate che scendono dalle profonde
gole,
maestosi boschi di cedri dell’Himalaya (deodar) con punte e rami spezzati
dal’intemperie modellandoli ad arte,
sembrano dei grandi bonsai, tutto attorno
alte cime innevate che risaltano con il cielo azzurro. La valle salendo si
ristringe
ed è sempre più profonda e scura, il fiume non si vede ma si sente il
forte rumore dell’acqua . Arrivo al paese di Gangotri,
secondo tempio del mio cammino,
lungo la strada guess house, negozi e bazar di oggetti sacri, souvenir e molti contenitori di plastica (economici) i
più raffinati di ottone o rame servono per raccogliere l’acqua del Gange da portare a casa come
reliquie, seduti ai lati mendicanti chiedono l’elemosina ,alcuni privi di arti
si spostano su dei carrettini spingendosi con le mani, altri seduti scoprono le
bende ai piedi facendo vedere le ferite sperando che qualche moneta cada nella
ciottola. Il piccolo tempio è di marmo bianco è dedicato alla Dea GANGA,secondo
la mitologia la Dea Ganga figlia del cielo è scesa sulla terra dopo essere
rimbalzata sui capelli di Shiva si è manifestata a forma di fiume per assolvere
i peccati.Lungo il sacro fiume fedeli fanno l’abluzione per purificarsi ,
l’acqua è fredda , la corrente molto forte ,si aiutano tenendosi a grosse
catene, altri sono seduti in cerchio con un sacerdote (bramino)
intenti a fare
la Puya( cerimonia vesperi) in
mano tengono vassoi pieni di petali di fiore, riso, incensi, olio e erba
profumata (tulsi) pregano e cantano facendo ruotare degli incensi accesi che
tengono in mano. I sacerdoti sono alla ricerca di fedeli per praticare il rito
della puya e incassare i soldi,sono insistenti e avidi e io cerco di evitarli. Per caso incontro un sacerdote conosciuto alcuni giorni fà lungo il cammino, parlata veloce e scorrevole, con Luigi ci invita alla cerimonia ben augurante(puya) da fare lungo il fiume sacro. Ci sediamo a terra gambe incrociate (che fatica)il rumore assordante della corrente copriva le parole e le preghiere del sacerdote,la cerimonia inizia con il segno rosso in fronte (tilak) il terzo occhio ,
seguito dopo dal cordoncino colorato al polso destro e il dono
dell’acqua santa del Gange ,versata sul palmo della mano e da bere, non ho
bevuto ma fatto scivolare lungo il braccio. Terminata la cerimonia scattiamo
alcune foto e paghiamo la cifra pattuita, ma il bramino pretendeva ancora soldi
perché la puya era speciale e complessa, dopo alcune discussioni lo salutiamo e
riusciamo a staccarsi. Il giorno seguente parto all’alba sono 20 KM. per
raggiungere il ghiacciaio del GAUMUK (bocca di vacca)dove nasce il fiume sacro
e adorato da un miliardo e duecentomilioni di persone a circa 4000 MT.
A Chirbasa un posto di guardie forestali ci ferma,
controlla il permesso e la presenza della guida come scritto, la salita non è
ripida ma piena di ciottoli instabili , cascatelle scendono dai ghiacciai
laterali, in molti tratti il sentiero è scivolato a valle per cui devo
attraversare usando delle corde facendo il pendolo.L’altitudine si fa sentire , respiro più frequente e a bocca aperta. La guida un ragazzo sui 30 anni che salta come un capretto si ferma di frequente, si siede su un sasso, mette sulla mano del tabacco e una pasta , mischia il tutto formando una pallina che mette in bocca tra la guancia e la gengiva , forse qualche eccitante o aiutino, io approfitto della sosta per mangiare fichi secchi e mandorle. La strade sale decisamente il ghiacciaio si avvicina sempre di più, la giornata è limpida ,si vedono i picchi alti da 6000 a 7000 MT. in particolare il massiccio del BAGHIRATI PIK 1 ,2,3 sotto il ghiacciaio di un blu intenso . Arrivo a BHOJBASA (campo base)dopo 5 ore nel pianoro alcuni ASHRAM (monasteri) sono casupole alte 2 metri con tetti in lamiera , sono pieni di pellegrini induisti ,con Luigi siamo gli unici occidentali. Dei pellegrini hanno problemi di stomaco e forti dolori alla testa causati forse dall’altitudine , cercano farmaci rivolgendosi a noi , per fortuna Luigi ha le pastiglie specifiche, questi vengono dal sud dell’India non hanno mai visto ne montagne ne neve non hanno mai fatto salite , non hanno vestiti adeguati,ma sono quì spinti da una grande fede , molto coraggiosi, da ammirare. La guida ci accompagna nella “stanza “per la notte, appoggiamo gli zaini e chiediamo alla guida di proseguire il cammino da soli verso il Gaumuk. Con Luigi riprendo il cammino più leggero, con la solo giacca a vento , il sentiero non si vede ,camminiamo salendo e scendendo da grossi sassi aiutandoci con le mani , si sente il rumore dell’acqua ma il fiume non si vede, il ghiacciaio è sempre più vicino, sulla destra il maestoso e elegante SIVILIK (penne di Shiva) molto conosciuto dai scalatori Italiani per le somiglianze al Cervino, sopra il ghiacciaio il massiccio del Bhaghirati Pik. Arrivo alla sorgente, della bocca di vacca non vedo traccia , è coperta da blocchi di ghiaccio, neve e sassi , sotto nasce il Gange, acque torbide di un colore cemento , sento dei rombi profondi come un terremoto , nella parete davanti, guardando il fiume enormi blocchi di ghiaccio si staccano scivolando nel fiume trascinando pietre , neve, e ghiaccio . Alzo la testa, attorno è tutto un gocciolamento, sassi che si staccano , mi allontano in un posto più sicuro da potere scattare delle foto . Scendo in riva al fiume , alcuni Shadu e pellegrini, molti arrivano in questo luogo per portare e versare nell’acqua le ceneri di parenti defunti, sono in meditazione o preghiera seduti su sassi, altri prendono l’acqua con le mani la innalzano al cielo e la fanno cadere lentamente , luogo molto suggestivo e mistico. Scatto ancora foto alle montagne visto che il sole sta tramontando creando una luce particolare , scendiamo verso Bhojbasa, arrivo all’Ashram al tramonto, come tutti i monasteri si mangia assieme in un’ora stabilita. Alle ore 20 inizia la cena siamo sotto una tettoia seduti sul pavimento con gambe incrociate , davanti una lunga stuoia (tovaglia)messa a ferro di cavallo,un sacerdote recita delle preghiere ,alcuni ospiti hanno coperte sulle spalle perchè fa abbastanza freddo , degli inservienti passano con dei secchi di metallo per riempire i piatti fatti di foglie secche incollate. (ecologiche) La cena consiste in riso con “dal” e “sabsi”(zuppa di ceci e lenticchie con masale (piccccante) accompagnato con ciapati,(pane) con una brocca riempiono i bicchieri d’acqua. Conclusa la cena ci mettiamo tutti in fila per lavare il bicchiere di acciaio e gettare il piatto ecologico nel bidone . Terminato, tutti si ritirano nelle loro tane. Mi sono vestito per andare a letto svuotando lo zaino e infilandomi nel sacco a pelo, non sono mai stato così contento e felice di avere un tetto sopra la testa e la pancia quasi piena.
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